di Mario Garofalo
L’Italia continua a correre dietro alla sua modernità di cartone, tutta luci, slogan e promesse miracolose. Ma nel frattempo, come sempre, una parte del Paese rimane inchiodata dove l’hanno lasciata: nel silenzio.
Parlo del Sud vero, non quello da brochure turistica. Quello dei paesi appesi tra monti e mare, dimenticati da chi governa e anche da chi finge di farlo.
E proprio da uno di questi angoli che la Repubblica considera “secondari” arriva un libro che, a sorpresa, mette in imbarazzo la narrativa ufficiale tutta sorrisi e progresso.
Si intitola “Poi le scriverò (Ho ancora altre 10/12 cose da fare)”, firmato da Rosalbo Bortone, poeta e artista cilentano che non frequenta salotti, non partecipa ai festival, non fa la star sui social.
Il libro esiste solo perché il figlio Innocenzo ha deciso che non andasse perso. E già questo basterebbe a far capire in che Paese viviamo.
Dentro quelle pagine c’è un’Italia che nessuno vuole vedere.
L’Italia dei lavori scomparsi, delle case che si stringono perché non c’è spazio né sicurezza, delle lingue locali che lo Stato ha sempre trattato come un difetto da correggere.
Un’Italia viva, concreta, che resiste nonostante l’abbandono sistematico.
Il dialetto camerotano usato da Bortone è lasciato senza filtro, senza traduzioni, senza concessioni. È un atto di forza.
È come dire: “Se volete capire, fate lo sforzo. Non siamo noi a doverci adattare, siete voi ad averci ignorati per troppo tempo.”
E in un Paese abituato a standardizzare tutto, questa è quasi una provocazione politica.
La vita dell’autore parla più delle sue poesie.
Un uomo che non ha trasformato la povertà in vittimismo, ma in disciplina.
Uno che dipinge per la sua comunità, che riempie chiese e muri senza chiedere nulla in cambio, che produce cultura senza aspettare riconoscimenti ufficiali.
Gente così, in Italia, la si nota solo quando muore.
Il Sud che emerge da questo libro non è la solita cartolina patinata che piace ai benpensanti.
È un Sud ruvido, consapevole, che conosce le sue ferite ma non si fornisce al mercato del lamento.
Una terra che continua a creare, a parlare e a resistere mentre lo Stato si limita a “prenderne atto”.
“Poi le scriverò” è un richiamo scomodo, perché dice una verità che nessuno vuole ammettere:
l’Italia, quando corre, si porta dietro quello che serve e lascia indietro tutto il resto.
E spesso, “il resto”, è il Mezzogiorno.
Ogni dialetto che scompare è una perdita culturale.
Ogni voce come quella di Bortone è un guadagno, anche se nessuno nei palazzi si prende la briga di ascoltarla.
Il Sud non chiede elemosine.
Chiede attenzione.
E questo libro dimostra che, quando il Sud parla, lo fa meglio di mille editoriali patinati: semplice, diretto, sincero.
Tutto quello che l’Italia dovrebbe essere e che troppo spesso non è più.

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