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Il 17 ottobre 1860, il popolo del Sannio disse “no” all’Italia che nasceva



La storia che non si insegna

di Mario Garofalo

Succede, ogni tanto, che la storia vera affiori. Quella sporca, disordinata, che non entra nei libri di scuola. Succede, ma non deve. Perché dà fastidio. E allora la si ricopre di polvere, di silenzio, di bugie.

Ma la verità, anche se la seppellisci, ha radici grosse: prima o poi spacca la terra.

Ottobre 1860: il Sud che non aspettava nessuno

Siamo nel 1860, a ottobre, nelle terre alte del Sannio: Pettorano, Carpinone, Isernia. Paesi senza teatro dell'opera, ma con una dignità che fa tremare le montagne.

I garibaldini ci arrivano baldanzosi, convinti di essere accolti come liberatori. Avevano letto i giornali, credevano ai proclami. Pensavano che il Sud aspettasse Garibaldi come il Messia.

Ma il Sud non aspetta nessuno. E quel giorno lo disse a voce alta.

Non ci fu la folla in festa. Non ci furono inni. Non c'era pane e sale, ma sassi e proiettili.

Chi erano davvero i “briganti”?

Francesco Nullo — nome da piazza, da statua, da scuola elementare — conduceva la colonna. Uomini in camicia rossa, convinti di combattere per la libertà.

Ma non sapevano che lì, tra quelle pietre, la libertà aveva un altro volto. Quello di chi difendeva la casa, il dialetto, le stagioni, il pane duro di grano antico. Quello di chi non voleva essere “italiano”, perché l'Italia, per lui, voleva dire nuove tasse, nuova leva militare, nuovi padroni.

E così fu scontro. Vero. Crudo. Sporco.

Altro che “spedizione dei Mille”. Qui i Mille scapparono, e chi restò non tornò. Francesco Nullo fu ferito. I suoi uomini massacrati.

Dai soldati borbonici? No. Dai francesi? Nemmeno. Da contadini con le mani callose e la testa dura. Gente che sapeva morire, ma non piegarsi.

La voce che sopravvive: Giacomo Abba

E poi c'è lui. Giacomo Abba. Garibaldino. Non uno qualunque. Uno che c'era. Che vide. Che scrisse. E che, in un lampo di verità, lasciò su carta qualcosa che avrebbe dovuto bruciare. Ma sopravvisse:

Pettorano, Carpinone, Isernia, meritereste che su voi non venisse più né pioggia né rugiada…

Non è odio. È sconfitta. È stupore. È quel momento in cui capisci che non ti volevano. Che non eri il salvatore, ma l'invasore.

Mi suonò nella memoria il nome delle Forche Caudine…

Lo scrisse davvero, Abba. Un garibaldino, non un nostalgico borbonico. Uno che sapeva leggere la storia mentre accadeva. Ma nessuno vuole leggerlo.

Un'Italia nata da una bugia

Non si insegna, questa pagina. Non si mette nei libri. Perché guasta la festa.

L'Italia unita doveva essere un sogno comune. E invece nacque col sangue e col piombo. Nacque da una violenza che oggi facciamo fatica a guardare in faccia.

Perché se quegli stessi contadini avessero sparato contro gli austriaci, oggi sarebbero eroi. Ma hanno sparato contro i “fratelli italiani”. E allora vanno chiamati “briganti”. Delinquenti. Traditori.

Traditori di cosa? Di uno Stato che non avevano scelto? Di un Re che non parlava la loro lingua?

Cancellare per governare

Non c'è una lapide per quei morti. Nessuna targa. Nessun nome su una via.

Eppure morivano per la loro terra. Per i figli che non volevano mandare a morire in guerre lontane. Per il raccolto, per la chiesa del paese, per la madre rimasta sola.

Morivano per un'idea antica: che nessuno decide per te, se tu non lo vuoi.

E allora vennero chiamati “banditi”. “Nemici dell'Italia”. Perché non si può raccontare che l'Italia nacque anche contro la volontà di chi doveva farne parte. Perché altrimenti si dovrebbe dire che non fu un'unione: fu una conquista.

17 ottobre: ​​ricordare è un atto di giustizia

Non per riscrivere la storia, ma per scriverla davvero. Non per odio, ma per memoria.

Perché un Paese che cancella il dolore, prima o poi inciampa nei suoi stessi silenzi.

Quel giorno, il 17 ottobre 1860, il popolo del Sannio disse:

Non siamo merce!

Non ci servono liberatori, se vengono armati e non capiscono la nostra lingua.

E fu punito. Con il piombo, la fame, l'emigrazione, la derisione. 

Ma la terra ricorda

E anche se non c'è un monumento, la memoria resta nei racconti dei vecchi, nei soprannomi, nei nomi delle contrade. In quel silenzio che dura da 160 anni e che ancora fa paura, perché potrebbe risvegliarsi.

Perché, alla fine, un Paese che ha la memoria zoppa… cammina in cerchio.

E noi meritiamo di andare avanti. Anche se per farlo, bisogna tornare indietro a guardare in faccia la verità.

Non erano briganti. Erano italiani che non volevano diventarlo. E questa, piaccia o no, è storia.

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