Passa ai contenuti principali

Il Mezzogiorno senza veli: perché questo nuovo volume dei Quaderni Meridionali ci riguarda tutti

 


ll Mezzogiorno senza veli: perché questo nuovo volume dei Quaderni Meridionali ci riguarda tutti

C’è un vizio antico nel modo in cui il Paese guarda al Mezzogiorno: la tentazione di trasformarlo in un’immagine, un racconto consolatorio, un repertorio di luoghi comuni buoni per tutte le stagioni politiche. Il Sud come metafora, anziché realtà. Questo secondo volume dei Quaderni Meridionali nasce per smontare esattamente questo vizio, riportando la discussione sul terreno più difficile: quello dei fatti, dei processi, delle responsabilità.

I contributi raccolti evitano ogni indulgenza e si distaccano dalle letture che presentano il Sud come vittima per definizione. Ciò che emerge è una geografia intricata di poteri, istituzioni, tensioni comunitarie, simboli identitari, conflitti sociali e trasformazioni economiche spesso lente e profonde. È un Mezzogiorno osservato dall’alto e dal basso, dentro le sue continuità secolari e le sue rotture improvvise. Un Mezzogiorno, soprattutto, reale.

Si scopre così che la storia meridionale non si presenta come un blocco monolitico: è un terreno in cui antiche giurisdizioni e apparati moderni continuano a fronteggiarsi; in cui insorgenze dimenticate raccontano più dei manuali sulla costruzione o la disgregazione dell’ordine politico; in cui il potere — statale, religioso o criminale — convive con paure profonde e strategie di sopravvivenza elaborate dalle comunità nel corso dei secoli. Accanto a tutto ciò, avanza l’altra grande protagonista di queste ricerche: la società meridionale. Dai contadini che diventano soggetti politici alle comunità che negoziano con lo Stato, fino ai gruppi familiari capaci di reinventare l’economia con la stessa naturalezza con cui attraversano il Mediterraneo.

Il volume offre anche uno sguardo sulla storia lunga del territorio: monasteri che orientano il potere attraverso la scrittura; città antiche che continuano a modellare immaginari contemporanei; araldiche e simboli che definiscono identità più di molte riforme. Ed emergono, con forza, pagine che riportano alla luce la durezza dell’Ottocento e del primo Novecento: repressioni, stragi dimenticate, conflitti religiosi, ferite che lo Stato unitario ha lasciato aperte e che la memoria civile fatica a elaborare.

Ciò che colpisce, leggendo le ricerche una dopo l’altra, è la loro convergenza profonda. Tutte indicano una necessità imprescindibile: liberare la storia del Mezzogiorno dalle narrazioni accomodanti e restituirla alla sua complessità. Una complessità fatta di continuità scomode, poteri locali persistenti, istituzioni fragili, intrecci con la criminalità, ambivalenze della modernizzazione. Il volume diretto dal Professore Mario Garofalo offre strumenti critici, contesti solidi, interpretazioni fondate: elementi rari nel dibattito pubblico, sempre più incline all’immediatezza del giudizio e alla semplificazione.

Queste pagine ricordano che la storia esiste per indagare, scavare, esporre. E attraverso questa esposizione restituisce un Paese più vero di quello che la retorica politica preferisce raccontare. Per questo i Quaderni Meridionali rappresentano un esercizio di responsabilità civile: un invito a guardare il Mezzogiorno senza veli, senza scorciatoie, con il rispetto che si deve alla verità dei processi e delle comunità che li vivono.

Pina Mareschi  

Comitato Scientifico — Quaderni Meridionali

Commenti

Post popolari in questo blog

Il 17 ottobre 1860, il popolo del Sannio disse “no” all’Italia che nasceva

La storia che non si insegna di Mario Garofalo Succede, ogni tanto, che la storia vera affiori. Quella sporca, disordinata, che non entra nei libri di scuola. Succede, ma non deve. Perché dà fastidio. E allora la si ricopre di polvere, di silenzio, di bugie. Ma la verità, anche se la seppellisci, ha radici grosse: prima o poi spacca la terra. Ottobre 1860: il Sud che non aspettava nessuno Siamo nel 1860, a ottobre, nelle terre alte del Sannio: Pettorano, Carpinone, Isernia. Paesi senza teatro dell'opera, ma con una dignità che fa tremare le montagne. I garibaldini ci arrivano baldanzosi, convinti di essere accolti come liberatori. Avevano letto i giornali, credevano ai proclami. Pensavano che il Sud aspettasse Garibaldi come il Messia. Ma il Sud non aspetta nessuno. E quel giorno lo disse a voce alta. Non ci fu la folla in festa. Non ci furono inni. Non c'era pane e sale, ma sassi e proiettili. Chi erano davvero i “briganti”? Francesco Nullo — nome da piazza, da statu...

Il brigante come soggetto subalterno: genealogia di una insorgenza contadina e critica della nazione

Di Mario Garofalo  "Quando gli ultimi si muovono, talvolta lo fanno per riformare l'ordine: spesso tentano, con la sola forza che hanno, di rovesciarlo". Nel discorso storico dominante sulla formazione dello Stato italiano, il Mezzogiorno appare spesso come una zavorra, un'appendice refrattaria al progresso, oppure come terreno di devianza e arretratezza. All'interno di questa narrazione coloniale, il fenomeno del brigantaggio è stato archiviato nella categoria rassicurante e criminalizzante del “disordine”. Eppure, nella polvere sollevata dai passi dei contadini armati si coglie qualcosa di diverso rispetto al semplice eco del caos: emerge il profilo frammentario e radicale di una soggettività subalternativa che insorge. Il brigante appare tutt'altro che un'anomalia nel racconto nazionale, costituendo piuttosto il suo specchio deformante: rivela la violenza originaria della modernità unificatrice, costruita attraverso espropriazione, annientamento e rimoz...

Nicola Zitara e la colonia chiamata Italia: il Sud visto con occhi postcoloniali

Di Mario Garofalo  Ci sono libri che, quando escono, non fanno rumore. O meglio: non lo fanno subito. Restano lì, come mine sotterranee, in attesa che qualcuno ci inciampi sopra e che la verità, sepolta dalla retorica dei vincitori, esploda. Il saggio di Nicola Zitara L'Unità d'Italia: nascita di una colonia è uno di questi. Pubblicato nel 1971, ignorato dai manuali, scansato dalle cattedre, liquidato con sufficienza dagli stessi intellettuali di sinistra, ha però scavato, anno dopo anno, una voragine sotto i piedi della “favola risorgimentale”. Zitara, calabrese di Siderno, nato nel 1927 e morto nel 2010, era un giornalista, un militante, un meridionalista senza padroni. Aveva capito – in anticipo su tutti – che l'Italia nacque come “colonia interna”: il Nord trasformato in metropoli, il Sud ridotto a periferia da sfruttare. La sua idea era chiara, e scandalosa per i benpensanti: l'Unità si presentò come liberazione di un popolo e si rivelò assoggettamento di u...