L’Italia contemporanea discende da una rivoluzione rimasta sospesa.
Le bandiere sono cambiate, i linguaggi della politica si sono moltiplicati, tuttavia la sostanza del potere continua a riprodursi identica. Oggi come ieri, il popolo vive ai margini della storia. La borghesia liberale di un tempo si è trasformata in classe tecnocratica: manager, banchieri, élite mediatiche che governano senza ascolto e senza legame con chi lavora, giustificando il dominio con le parole d’ordine della “modernizzazione” e dell’“Europa”.
Il Mezzogiorno, antico laboratorio dell’ingiustizia, resta terreno di esperimenti sociali ed economici imposti dall’alto.
Al posto dei latifondi sorgono call center e piattaforme digitali; le campagne di un tempo si trasformano in distretti logistici dove la precarietà regna come legge. La terra è passata dalle mani dei baroni a quelle dei fondi finanziari, il lavoro dal sudore contadino alla flessibilità imposta dal mercato globale. Il giovane del Sud, erede dell’emigrante di un secolo fa, cerca altrove la dignità che il proprio paese gli nega.
L’esilio cambia volto, ma conserva la stessa radice: un sistema che espelle, invece di emancipare.
Lo Stato proclama l’unità nazionale e, nello stesso gesto, consolida la divisione.
La burocrazia protegge chi comanda, la politica difende chi possiede. L’“autonomia differenziata” viene esaltata come progresso, mentre riproduce il vecchio schema coloniale: il Nord trattiene risorse e potere, il Sud diventa serbatoio di lavoro e di consenso. La questione meridionale continua a rivelarsi questione di classe, nodo irrisolto dell’identità italiana.
La crisi più profonda, tuttavia, si manifesta nella sfera morale e culturale.
Il popolo dispone di pochi strumenti per comprendere e trasformare la propria condizione. La scuola si riduce a contenitore di passività, l’informazione si trasforma in merce, la politica si recita come spettacolo. L’egemonia, nel senso più gramsciano, assume la forma dell’intrattenimento e dell’indifferenza.
Il dominio non ha più bisogno di catene, perché ha educato alla rassegnazione, alla solitudine, al disincanto.
Eppure, in questo scenario di silenzio, si accende un nuovo fermento morale.
Si manifesta nei lavoratori della logistica che difendono il diritto alla dignità, negli studenti che chiedono pace e futuro, nei movimenti che lottano per il clima e per la giustizia sociale. Queste esperienze rappresentano le nuove “campagne del Sud” della nostra epoca: spazi di coscienza, luoghi in cui il popolo torna a riconoscersi come forza viva e pensante.
La trasformazione autentica nasce dall’educazione, dal lavoro, dalla solidarietà.
Un’Italia capace di riscatto è un’Italia che unisce cultura e produzione, sapere e partecipazione, intellettuali e popolo. In questa alleanza si nasconde la rivoluzione che ancora attende compimento: la rivoluzione della dignità e dell’autonomia morale del popolo italiano.

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