C'è un'Italia che non si arrende, un'Italia che non dimentica e che, libro dopo libro, scava nella carne viva della storia tradita, offesa, depredata. Fernando Riccardi, giornalista tenace e penna appuntita del meridionalismo d'inchiesta, torna a fare quello che sa fare meglio: prendere i fatti e rigirarli come i calzini, sventrare la retorica risorgimentale con il bisturi della verità e restituirci pagine che bruciano, perché vere, perché dimenticate, perché fanno male. Ma guariscono.
Il suo nuovo saggio – che è un colpo al cuore per chi ama il Sud senza paraocchi – mette sotto la lente un episodio tanto breve quanto cruciale: la fallita riconquista borbonica degli Abruzzi nel gennaio del 1861. Già, proprio mentre a Gaeta ancora tuonavano i cannoni e i ragazzi del Sud morivano da eroi sconosciuti per difendere il loro re, la loro terra, la loro dignità.
A capo della spedizione, tra mille esitazioni e giochi di palazzo, viene mandato Francesco Saverio Luverà, ufficiale del disciolto esercito napoletano. L'illusione dura poco: dopo l'iniziale successo a Tagliacozzo, arriva il disastro, l'ennesimo. E non per colpa del destino cinico e baro, ma per colpa di chi avrebbe dovuto guidare e invece tentenna, si divide, litiga, si volta dall'altra parte. Una corte borbonica allo sbando, incapace di decidere, incapace di combattere. E mentre i piemontesi avanzano, con la benedizione dei banchieri, dei massoni e dei "liberali", gli ultimi lealisti si scontrano con la fama, il tradimento e la repressione.
Riccardi ci accompagna in un viaggio cupo ma necessario tra le rovine di un esercito disperso e di un'epopea svanita. E ci ricorda che quella disfatta – come quella del colonnello Klitsche de la Grange pochi mesi prima – non fu solo militare, ma morale, politica, simbolica. La “mattanza di Scurcola”, i “fatti di Collalto”, i “misfatti di Carsoli”: episodi oscuri, volutamente ignorati dai manuali ufficiali, che Riccardi tira fuori con una scrittura asciutta, quasi notarile, ma intrisa di passione civile.
Alla fine, dopo appena quaranta giorni, l'esercito borbonico ripiega mestamente verso lo Stato Pontificio. E con lui se ne va un'altra possibilità di riscatto per un Sud che voleva ancora lottare, ancora credere. Mentre al Nord si brindava alla nascita del Regno d'Italia sotto la bandiera dei Savoia, nel cuore dell'Abruzzo si consumava il funerale di un sogno.
Fernando Riccardi non scrive per piacere: scrive per disturbare. Non consola, non commemora: accusa. E lo fa con la forza dei documenti, la coerenza delle fonti, l'amore per la verità. Il suo è un lavoro sporco, perché scavare nei silenzi e nelle omissioni fa male. Ma è un lavoro necessario.
Perché la storia del Sud non è finita nel 1861. È iniziata proprio lì. E noi, oggi, abbiamo il dovere di raccontarla tutta. Anche quella che non conviene.
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ControSud
La storia non la scrivono i vincitori. La riscriviamo noi.

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